Primavera araba: le rivoluzioni dall’altra parte del mare

Un ragazzo di colore mi si avvicina e subito reagisco in maniera stizzita, maleducata, gli dico che non ho soldi, ma lui con tutto l’orgoglio e la dignità che ha in corpo mi dice che i miei soldi non li vuole e che sta cercando lavoro. Rimango senza parole e guardo i suoi occhi, occhi rossi. Occhi solcati più volte dalle lacrime. Questa è la cosa che mi è rimasta più impressa. Il nostro rifiuto è sempre lì ad attenderli, senza poter mai tendere la mano invece di ritrarla. Credevano che il nostro fosse uno stato democratico. E invece vengono sfruttati e manovrati anche qui. Loro che hanno messo da parte la dignità e si sono lasciati alle spalle, famiglia e futuro nella loro patria per inseguire un sogno qui perché non gli era rimasto null’altro. Come ci riporta Domenico Quirico:

Non li fanno arrivare i vinti di Lampedusa, le prime vittime del muro amministrativo che sbarra il Mediterraneo, nell’aeroporto dei turisti, dei viaggiatori normali. Sì, questo paese di poveri si vergogna dei suoi emigranti che fa rientrare alla spicciolata, di soppiatto, come criminali. […] C’è fretta di cancellarli, farli sparire, dimenticarli: in teoria sono responsabili del reato di emigrazione clandestina. […] Chi li ha cacciati dall’Europa, venga qui a vedere il gemito strappato a questi ragazzi, i singhiozzi, questo dolore che fa paura perché muto. […] Gettiamo via uomini come se fossero cose. Infliggiamo dolore. E questo inutilmente. […] Non dimenticherò mai Ziad che ha in faccia il timore incessante della paura, la paura della paura che modella il viso dell’uomo coraggioso. Dopo aver ascoltato la sua storia di emigrante respinto, ho tentato di mettergli in mano più che potevo, per un senso di riverenza più che per compassione. E che mi ha detto no, con decisione: anche se fossero stati i mille euro che ha speso per tentare invano, il viaggio. Questi sono gli uomini che abbiamo respinto. E che faranno altre rivoluzioni. Anche se il coraggio logora come la paura.

L’ultima fatica di Domenico Quirico, giornalista e inviato di guerra ci accompagna in un excursus su quelle che sono state le primavere arabe partendo dalla strada, dal primo atto suicida in Tunisia che ha scatenato tutte le altre rivolte passando per quelli che definisce i maghi della pioggia: il tiranno riluttante Nasser, in Egitto, il padre padrone Burguiba in Tunisia; i traditori: Ben Ali in Tunisia, poi Mubarak in Egitto e Gheddafi in Libia. Traccia poi lo stato socio-politico dell’Africa del nord ed uno sguardo sui territori arabi e le loro organizzazioni, definite da Quirico il male arabo:

Al-Qaida, Hamas, i Fratelli musulmani, Hezbollah, i partiti che risiedono quieti nei parlamenti in Marocco e Algeria, fattucchieri de fama e insospettabili presunti.

Offre un quadro completo sulle presunte mire degli attivisti islamici, mettendo alla luce che le rivoluzioni dei popoli arabi sono solo all’inizio. Ci sono uomini disposti a tutto che tessono nell’ombra i destini di queste genti, facendo leva sui pilastri dell’islam per piegare la volontà delle masse e sfruttando i conflitti interni.

[…] principi che nessun musulmano può accettare, la sovranità del popolo al posto di quella di Dio, l’eguaglianza di chi crede e degli atei, l’egualianza contraria alla disposizione che impone il perseguimento del bene e la lotta al male, la libertà di espressione che impedisce la caccia agli apostati, l’eguaglianza tra uomo e donna che secondo il Corano determina la disintegrazione della società, l’idea di diritto contraria a quella di dovere verso Dio. Soprattutto, il concetto di maggioranza basata sul principio, empio che il numero di coloro che lo condividono determini che sia moralmente giusto. […] Una frammentazione sociale la cui base sono la tribù, il clan e il gruppo etnico-religioso piuttosto che la nazione o la società civile e una organizzazione autoritaria dove prevalgono paternalismo e coercizione piuttosto che consenso e eguaglianza e paradigmi assolutisti si combinano in bisboccia contagiosa con pratiche del potere legate al rito e al costume piuttosto che all’innovazione e alla spontaneità.

Il salafismo è una sorta di bolscevismo islamico. L’effetto vincolante non dipende dalla cosa prescritta ma dall’atto che la prescrive, ovvero la lettura letterale dell’islam come quella dei primi compagni del Profeta. Pensate a qualcuno che vuole affrontare i problemi del XXI secolo con codici messi a punto per le realtà economiche sociali e politiche del VII secolo! Quale modello chiuso a tendenza sistematica: dorénavant nessuno invochi né azione politica né partecipazione alle elezioni. Perché il potere deve essere conquistato con le armi e la guerra. Il sesto pilastro dell’islam.

Approfondisce per comprendere le efferate carneficine, dalle orgogliose popolazioni berbere dei Tuareg fino alla nascita di figure carismatiche del GIA e dell’AQMI come Said Kari e ovviamente Bin Laden. Una sfilza di assassini che per diverse ragioni combattono contro l’occidente.

Oggi i Tuareg, con nuovi capi, sono di nuovo in armi e una nuova parola d’ordine: non più l’indipendenza che appare un’utopia, vogliono la ricchezza della loro regione assetata, che si chiama uranio di cui il Niger è il terzo produttore mondiale. È lo stesso fenomeno che insanguina il delta del Niger, gonfio di petrolio: le popolazioni locali esigono che le ricchezze naturali non riempiano le tasche di governi lontani e corrotti e dei loro soci stranieri, lasciando solo terre devastate e inerti. Sullo sfondo lampeggia la mano di Al-Qaida che ha scoperto in questa zona del Sahara un nodo fragile del mondo.

Non sono attacchi terroristici senza uno scopo, gli scenari stanno cambiando, è tutto eccellentemente pianificato: la conquista dell’Africa e tutte le sue risorse.

C’è il sospetto che alcuni governi ormai tollerino o addirittura collaborino con AQMI, dietro scrupolosi ossequi all’alleanza contro il terrorismo. Il Mali per esempio: avrebbe siglato un accordo, consente che i terroristi abbiano basi e rifugi dove nascondere gli ostaggi nella parte nord del paese, in cambio rinunciano a compiere attentati.

La prospettiva più probabile e pericolosa è quella appunto di un jihad decentralizzato e multiforme, metà guerra santa e metà brigantaggio, con sezioni, ben radicate sul territorio, numericamente ridotte e quindi meno esposte all’infiltrazione e al tradimento ma in grado di portare colpi spettacolari (il modello AQMI).

Quirico ci insegna e ci mostra un mondo arabo ed una primavera araba completamente diverse da quella che le tv occidentali ci hanno voluto dipingere e dipingono ogni giorno.

La primavera araba ha introdotto comunque in questo quadro, in cui ogni cosa avveniva prevedibile come la caduta di un grave, una novità. Fanno uscire il sole della macchina repressiva dalla solita rotta. Le insurrezioni hanno spezzato la pantomima ben oliata entro cui operavano gli apparati del potere. La sorpresa di un popolo in piazza ha fatto da catalizzatore delle rivalità finora sotterranee ma miasmatiche.

Le rivoluzioni sono imprevedibili, scorrono come fiumi sotterranei che rampollano di colpo, dove non li aspetti. L’uragano sale con passi da ladro. Perché i popoli che sono sottoposti a regimi autoritari si difendono con il silenzio, e con la bugia. Ai grandi cultori dei sondaggi tutto sembra stabile, immobile. Le rivoluzioni nascono e si sviluppano nel chiuso delle case, nelle discussioni che nessuno può ascoltare; e che nessuno racconta. Poi di colpo le maschere cadono. E le strade si riempiono, i cori si alzano, la rabbia esplode, classi sociali che sembravano prudentissime e soddisfatte si incolonnano anche loro.

Rimane solo la dignità, quella cui qualunque essere umano spetta di diritto.

Siamo così soddisfatti da non aver tempo per porci domande secondarie come: ma questa gente per che cosa si batte, che cosa vuole, che cosa creerà in questi paesi quando la rivoluzione finirà? Cerca la «dignità». La dignità. Come fate a non vedere che è qualcosa di diverso dalla libertà e dai diritti umani?

«Ci pensate cosa abbiamo fatto, dannazione, e da soli, senza aiuti? Abbiamo sollevato il carico più pesante del mondo, abbiamo separato la verità dalla menzogna, abbiamo aperto e dettato la strada, un mondo immenso di milioni di uomini, libici, egiziani, siriani, yemeniti, e giù fin dove arriva la parola di Allah si sono incamminati sulla nostra strada e ci hanno imitato. Provate voi occidentali, a farlo!»

Sono cose che accadono nelle fiabe, e questa forse lo era.

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